Era un giocatore spietato con i portieri, era un fuoriclasse, un ”dio” del calcio. Tutti i palloni che tirava finivano in rete. Era un giocatore implacabile e un ragazzo bellissimo: era giovane con capelli biondi e lunghi, con occhi azzurri, braccia forti come il ferro e addominali saldi come il marmo. Nessuno sapeva come potesse essere così bravo e così bello, ma girava una voce che fosse stato immerso nelle acque sacre della bellezza e del calcio. Comunque la sua squadra non vinceva mai. Il motivo delle loro sconfitte era il presidente della società. Lui era grasso e basso, era orribile, però aveva una ricchezza inestimabile. A lui interessava soltanto vincere ricorrendo alla violenza. Questa cosa fece molto irritare il  sacro dio del calcio e, molto arrabbiato, scagliò sulla squadra una maledizione: non avrebbero mai vinto finché il presidente non avesse ammesso le sue colpe. Allora il presidente e la squadra andarono a Milano per scusarsi con tutti. Milano era stupenda: ovunque c’erano negozi di bellezza, di sport, di mobili, si trovavano centinaia di ristoranti, pizzerie, edicole e moltissimi alberghi. Entrati nella sede, la squadra e il presidente si sedettero intorno a un tavolo e il presidente ammise le sue colpe. Il capo della FIFA spiegò che c’erano tasse da pagare per punizione. Egli si arrabbiò molto, però, non avendo altra scelta, pagò il conto della multa ma, infuriato, decise di abbassare tutti gli stipendi. Achille non tollerò la sua decisione e offendendolo disse: ”Ubriacone, cuore di Hitler, cervello di gallina, tu non hai mai osato giocare un calcio pulito, tu hai sempre fatto ricorso alla violenza e alla antisportività e tu ci vuoi tirare via l’unica cosa che abbiamo? Fai pure, ma noi non oseremo mai più stare dalla tua parte e nemmeno giocare per te! Creeremo una squadra basata sul fairplay e sulla sportività, ignorando i risultati che potrebbero peggiorare questo fantastico sport”.